L’ultima battuta è sui giornali “tecnicamente fascisti”, la prima che si ricordi è sui giornalisti che lavorano: “lavoro? mi pare una parola un pò forte”. Per non dire di “iene dattilografe” e veleni dicendo. Dalemix, giornalista professionista, ha avuto sempre un particolare astio per la categoria. Forse perchè alcuni “colleghi” hanno ricordato che è stato lui quello dell’inciucio, quello dei bombardamenti in Kosovo, quello della consegna dei cow boy del Cermis, per non dire – alla Rai – quello dei tripli salti mortali. Ora arriva il mio amico Oliviero Beha che perfidamente gli fa una proposta. Seria.
“(…) D’Alema ha centrato perfettamente e con cospicuo coraggio intellettuale il problema: quest’informazione è malata, e il sano e il diversamente intelligente è lui.(…) visto il disprezzo che giustamente riserva a questa categoria di straccioni… sono certo che Massimo prenderà in seria considerazione questa mia modesta proposta: rinunci alla pensione che gli paga l’Inpgi, il nostro istituto, facendolo figurare da giornalista per la pensione appunto con contributi detti figurativi che paga per lui la cassa comune, cioè l’insieme delle iene. Sarà un leader d’esempio anche in questo di un folto gruppo parlamentare che contempla giornalisti di complemento come Fini e Veltroni, Gasparri e Mastella e una scia di gente dalla doppia pensione. Rinunci: perché mischiarsi ai nostri privilegi, lui che da politico ha già i suoi e in dosi industriali tanto da far saltare la mosca al naso di un popolo ridotto allo stremo?”
Non farebbe molta differenza né per lui né per noi. Purtroppo per noi.
Per noi odiatissimi “colleghi” la differenza ci sarebbe.
Il “furbettino” del paesello.
Con la puzzetta sotto i baffetti.
Come scrive Pino, la differenza c’è. E io aggiungerei che tocca sia questioni morali che pratiche. Badando al concreto: la differenza “per noi” è che la pensione giornalistica di D’Alema la paghiamo noi coi contributi che versiamo all’Inpgi. Invano, perché la pensione, noi “iene dattilografiche”, non la prenderemo mai.